Ottobre 29, 2021

Una bottega di sfuso…perché?

La domanda a tanti è sorta spontanea.

E’ naturale aspettarsi come risposta una serie di motivazioni inerenti l’ecologia, la sostenibilità, la nutrizione e forse anche l’etica. Arriveranno anche quelle, ma la prima, la scintilla da cui è nato il progetto è un’altra, e dipende, temo, dal fatto che sono un’inguaribile romantica (e forse pure un po’ nostalgica).

Sono cresciuta in un paese piccolo, circondato da paesi piccoli, ho passato molte vacanze in altri paesi piccoli… insomma, la dimensione della bottega, del negozio di vicinato la conosco bene, perché staziona tra i miei ricordi di infanzia, e  per alcuni di quegli anni è stata una costante di un mondo che ancora si limitava ad una cerchia molto ristretta.

Chi tra voi non ha ancora il 2 davanti al proprio anno di nascita, sa di cosa sto parlando: quei negozi che tenevano un po’ di tutto, dall’immancabile pane all’accendino, allo zucchero, alla bottiglia di alcool, al cremino…ve lo ricordate il cremino a taglio nella sua carta dorata??

Erano negozi di chiacchiere e spese lente,

oppure veloci, perché chi stava dietro al banco sapeva già cosa preparare a seconda dei giorni della settimana, dell’età della persona che entrava, finanche del meteo!

Vengo da una famiglia di commercianti: i miei genitori, ma anche mia nonna che aveva una bottega di alimentari, come l’aveva a sua volta la bisnonna, nella prima metà del secolo scorso. Sono cresciuta dietro al bancone di un negozio, e le storie di bottega le porto nel cuore e nel cervello come un bagaglio di ricordi ma forse anche di DNA! Per noi bambini era un mondo quasi magico, di cose che non si potevano toccare ma ogni tanto, con il beneplacito dei grandi, potevano  finire furtivamente in tasca e andare ad arricchire i nostri tesori personali fatti di oggetti tanto inutili quanto preziosi.

Sentivamo i discorsi degli adulti con orecchio distratto: i consigli, i pettegolezzi, le contrattazioni sul prezzo, gli apprezzamenti sulla qualità di questo o quell’articolo, i reclami, i saluti e gli appuntamenti al giorno dopo, ad un futuro che forse aveva nella prevedibilità un che di rassicurante.

Le cose poi sono cambiate parecchio, tanti di questi negozi non ci sono più, ma a volte mi sforzo di trovarne l’impronta in un dettaglio, un pezzo di scritta sbiadita sul muro, una serranda mai cambiata, uno scaffale destinato ad altro… oppure cerco di afferrare un po’ di quelle sensazioni  nei luoghi di vacanza, dove qualcuno  in più sembra essere  sopravvissuto.

Erano negozi che raccontavano storie,

le generavano, le accoglievano e le custodivano. Perché ognuno di noi ha una storia da raccontare, ed è in cerca di qualcuno a cui affidarla.

A volte peccavano di mancanza di igiene, quello bisogna ammetterlo, ma chissà se potevano permetterselo perché le persone erano meno esigenti o i pericoli da cui guardarsi meno numerosi…

Oggi siamo riusciti ad ovviare anche a quello: abbiamo la tranquillità che ci viene dal rispettare tutti una legge scritta a nostra tutela, ma nelle botteghe la filosofia non è cambiata.

I ritmi sono ancora pacati, i prodotti raccontati, il cliente conosciuto o straniero, ma sempre accolto.

Terra Mia è nato sotto questa stella, e nelle mie intenzioni persegue una tradizione fatta di gente con un volto e un nome, con una storia che aspetta solo di essere raccontata. E ascoltata.

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